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Coedizione con Cairo Editore

La ricetta di questo libro? ¼ di manuale, ¼ di educazione al bere, ¼ di ricettario, ¼ di racconti legati allo spiritoso (in tutti i sensi) mondo dei cocktail. Shakerate il tutto, aggiungete ghiaccio cristallino, e avrete un volume indispensabile per coltivare il piacere di prepararsi un buon drink da sé: i trucchi per allestire un bar a casa, un indispensabile ricettario con i grandi classici e le rivisitazioni dei migliori bartender italiani, e i migliori aneddoti per accompagnarne il servizio. Perché preparare un cocktail è, nell'essenza, un ottimo pretesto per concedere un momento per se stessi, o a chi si vuole bene.

30 i cocktail trattati, illustrati da Luca Tagliafico, autore anche della copertina dell'opera: per ognuno è raccontata la genesi storica, la ricetta classica e quella reinterpretata in chiave moderna dai principali professionisti italiani del bancone, i trucchi per prepararlo a casa e i momenti migliori per berlo.

 

Questo libro nasce da un grande passione, e una serie infinita di errori. Il soggetto della passione è evidente, in un volume che racconta di cocktail e ha l'ambizione di spiegare come prepararli a casa. La serie infinita di errori sono i miei, inanellati ogni qualvolta ho provato a replicare nel tinello l'alchimia di un buon drink assaggiato al bar. Perché se preparare un buon cocktail non è difficile, sbagliarlo è facilissimo.

La miscelazione non segue le regole della cucina, dove al piccolo errore si riesce a rimediare facilmente, aggiungendo un pizzico di sale, prolungando di uno zic la cottura, allungando un fondo troppo ridotto con un mestolo di brodo. Quando si sbaglia un cocktail, è perduto per sempre, e basta davvero poco per far svanire l'armonia alchemica di ricette collaudate, trasformando una buona bevuta in un martirio. È una partita che si gioca su dosi minime, proporzioni rigorose, tempi precisi. In questo, assomiglia più alla pasticceria, dove lo sgarro comporta quasi inevitabilmente disastri gastronomici. Un centilitro in più o in meno di un distillato, in un bicchiere che ne conta una decina, comporta una differenza abissale. Una temperatura di servizio sballata – soprattutto se spinta verso l'alto – rovina qualsiasi drink. Il ghiaccio, aggiunto con mano troppo parsimoniosa, è sinonimo di disfatta. Ma se non si fa attenzione a trattarlo come si deve, il cocktail risulterà annacquato, per la tristezza del bevitore.

Prima regola imparata alla scuola del bancone: la perfetta replicabilità del drink. È proprio così. Dietro alla scenografica gestualità dei barman – 1/3 prestigiatori, 1/3 alchimisti, 1/3 attori – si cela la millimetrica capacità di dosare gli ingredienti, ghiaccio compreso. Basta qualche goccia in più di angostura, e il Manhattan perde la sua rotondità stordente. È sufficiente un leggero squilibrio tra gin e bitter, e il Negroni non è più a prova di Conte (Camillo Negroni, il nobile che lo ha inventato). Basta un metaforico sassolino nella stesura di un Martini Cocktail, per vederlo inciampare malinconicamente lungo il dirupo delle cattive bevute.

Seconda regola da bar fly, ossia da frequentatore assiduo di bar: per realizzare un buon drink servono buoni prodotti. La miscelazione però non segue la relazione di equivalenza. Ottime bottiglie non sono garanzia di risultati superlativi, e al contrario si possono ottenere ottimi drink miscelando prodotti comuni, non eccezionali. Perché la tecnica è un fattore altrettanto (se non più) importante.

Terza regola, di saggezza: se alcuni cocktail hanno fatto la storia, attraversando epoche e continenti, influenzando gusti e tendenze, replicati – in miseria e nobiltà – nei bar di ogni città, un motivo ci sarà. Si può (e si deve) guardare oltre, cercare nuovi confini, ma alcune regole – definiamole la grammatica della miscelazione – sono le fondamenta di qualsiasi idea di miscelazione. Si possono anche abiurare, ma bisogna conoscerle, per farlo.

Questo libro vuole essere un fedele alleato per chi ha l'ardire di approcciare per la prima volta uno shaker, ma anche per chi ha maggiore dimestichezza. Il primo passo è conoscere le regole di costruzione di un cocktail e le tecniche del barman. Quali bottiglie e attrezzature sono necessarie per il proprio bar casalingo è il passo successivo. Poi non resta che cimentarsi con le ricette. Replicare un unforgettable – ossia uno degli evergreen che la stessa Associazione Internazionale dei Bartenders (IBA) ha così definito – sarà un esercizio di stile possibile a tutti. Così come twistare un grande classico, proponendone una variante, grazie alle ricette di alcuni tra i più importanti barman italiani.

Ma all'epifania della bevuta perfetta – ammesso che esista – non concorre soltanto quello che è stato miscelato nel bicchiere. Perché il momento del cocktail è un insieme di cose, e soprattutto un contesto. Conta il luogo: il bar dal bancone di mogano consunto e gli ottoni lucidati, il chiosco sulla spiaggia col mare all'orizzonte, il caminetto acceso nella casa di campagna. E ancor più la compagnia. Il cocktail è, alla fine dei giochi, un pretesto per prendersi un momento per sé, o per chi si vuole bene. Per coccolarsi e osservare il tangibile e l'astratto da una spigolatura differente. “Il problema con il mondo è che tutti sono indietro di qualche drink” sosteneva Humphrey Bogart. E non aveva tutti i torti.

Alessandro Ricci

ALESSANDRO RICCI, genovese, classe 1981, da più di dieci anni scrive di tutto quel che si può mangiare e bere su carta e web, collaborando con Paolo Massobrio e la redazione de ilGolosario e scrivendo su diverse testate, tra cui Bargiornale, storico mensile italiano sul mondo del bar.

È tra i fondatori dell'Associazione Culturale Papille Clandestine (www.papilleclandestine.it). Appassionato di miscelazione fin dalla maggiore età (ufficialmente), ha sperimentato a casa ogni ricetta presente sul libro, insistendo particolarmente su Manhattan, Negroni e Martini, suoi cocktail classici preferiti.